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"Gentilissima famiglia Avati
per quanto a loro sconosciuto mi sia permesso di esprimere il mio profondo rammarico e grandissimo dolore per la perdita del loro Amerigo che più che collega ero abituato a considerarlo fratello ed amico carissimo.
Lo ebbi alle mie dipendenze dall'Aprile del 15 e nessuno meglio di me poté conoscere le nobilissime ed elevate doti dell'animo cui è mio supremo dovere rendere oggi omaggio e venerazione.
In sette mesi di asprissima comunità della vita di campagna pochi dettero come lui prova di profondo attaccamento al dovere e di abnegazione e coraggio nell'affrontare disagi e pericoli di ogni sorta.
Mai lo dimenticherò nella sua serena calma quale fu la sera del 10 novembre allorché dopo asprissima avanzata sotto violento fuoco nemico la compagnia fu inviata a rinforzare la prima linea di cima 2 del San Michele decimata dal nemico.
Con tranquillità ammirevole e coraggio non comune egli per primo con il suo plotone che l'adorava sotto violentissimo temporale nella notte oscurissima occupò la posizione a 50 metri dal nemico e su di essa fu colpito.
Ne più lo vidi povero e carissimo compagno!
Una profonda speranza che si fosse salvato aveva fino ad ieri alimentato la mia anima perché mi fu detto che la ferita non era di eccessiva gravità .
La notizia della sua fine letta bruscamente su di un giornale mi ha desolato! E mi permetto di esprimere loro tutto il mio profondo dolore!
Fu un eroe buono semplice e modesto!"
Dello stesso reparto era Filardo Giuseppe di Pasquale morto il 10 gennaio 1916 mentre il 22 ottobre 1915 fu dato per disperso sul San Michele Floccari Giuseppe di Francesco del 156° reggimento.
I disagi menzionati dal capitano Graziani erano in effetti delle dure prove di ogni genere, raccontano nei loro diari alcuni combattenti che la lotta fu così aspra che intorno alle trincee spesso si trovavano seppelliti i caduti per cui era impossibile approfondire od allargare gli scavi e come conseguenza di tale presenza vi erano nugoli di aggressive mosche inoltre durante le piogge l'acqua ristagnava nei camminamenti associandosi ai disagi del freddo.
Ma gli stessi assalti erano una prova dalla quale difficilmente gli uomini ritornavano incolumi ed ancor più straziante era sentire i feriti lamentarsi invocare aiuto appesi ai reticolati e non poter fare niente per salvarli .
Molti ufficiali di reparto cercavano di evitare inutili carneficine ordinate dai comandi superiori ma alla fine dovevano piegarsi agli ordini e qualcuno per il rimorso si suicidò.
Il 20° ed il 19° reggimento ebbero in totale nella loro permanenza al fronte ben 1.631 soldati morti e 122 ufficiali oltre 7.168 soldati e 153 ufficiali feriti e 1.061 soldati ed 8 ufficiali dispersi, un numero considerevole se si pensa che i reggimenti ricostruiti più volte avevano un organico di 3.000 uomini.
A margine è opportuno ricordare anche un grave episodio che vide protagonisti i fanti del 48° composto in prevalenza da calabresi.
I superstiti di questo reggimento erano circa 700 ed aspettavano con ansia di poter partire in licenza quando invece arrivò l'ordine di tornare in linea proprio mentre 200 di loro erano in procinto di tornare a casa, il fatto irritò i soldati e qualcuno di loro tirò qualche colpo di fucile verso il comando.
Drasticamente fu istruito un processo sommario alla fine del quale due soldati furono condannati a morte ed altri al carcere, la sentenza fu eseguita il 12 dicembre 1915 e dopo il reggimento si avvio al suo destino. Oltre ai deceduti durante il conflitto è opportuno ricordare quanti sopravvissero e si distinsero infatti nella stessa opera il Notaio Verrini riporta la lettera che un gruppo di caporali, Rocco Ferrandello, Antonio Alessi, Francesco Grio e Francesco Nesci, appartenenti al 20° reggimento fucilieri, 44a compagnia, 1° battaglione della 22° divisione, probabilmente il nostro 20° reggimento di fanteria, scrivevano al sindaco per informarlo che raggiunta la zona di guerra erano pronti a fare il loro dovere, nessuno di loro comunque risulta tra i deceduti per cui ritengo siano sopravvissuti a tutte le ostilità e riusciti a tornare a Polistena; tra gli altri documenti allegati vi è il testo del discorso tenuto dal Sindaco Prof. Sofré il 2 maggio 1916 in cui elogiava i primi decorati di Polistena e più precisamente il sottotenente Michele Valensise insignito di medaglia d'argento per aver comandato la sua compagnia alla morte del capitano, ferito nell'attacco seguente ed il caporale Papalia medaglia di bronzo per aver trasportato da volontario fino ai reticolati ed alla trincea nemica un tubo di gelatina esplosiva.
Da una pubblicazione del tempo risulta inoltre che fu encomiabile il comportamento del soldato Avati Giuseppe servente del reparto mitragliatrici Fiat che sistemò l'arma sotto il tiro nemico a quota 241 il 4 giugno del 1917 una simile attestazione di merito ebbe il soldato Francesco Bruzzese che il 6 giugno del 1917 a quota 219 in un combattimento a corpo a corpo riuscì ad uccidere alcuni nemici a farne prigionieri altri.
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